giovedì 24 marzo 2011

Monologhi: Fabio De Luigi a.k.a. Ezio

Nella rete è stato soprannominato come il monologo sulla paura. E’ il monologo iniziale del recente Happy Family, film di Gabriele Salvatores tratto dall’omonimo testo teatrale di Alessandro Genovesi, ispirato a sua volta a Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello.
Ezio, personaggio interpretato da Fabio De Luigi, è uno sceneggiatore in costante crisi creativa: sembra avere paura di scrivere, di portare avanti la storia che vorrebbe raccontare (e che il pubblico in sala sta vedendo sullo schermo). Proprio con un monologo sulla paura, o forse è meglio dire sulle paure comuni a molti di noi, si apre film.

Il problema è che abbiamo paura, basta guardarci. Viviamo con l’incubo che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo costruito possa distruggersi. Con il terrore che il tram su cui siamo possa deragliare. Paura dei bianchi, dei neri; della polizia e dei carabinieri. Con l'angoscia di perdere il lavoro, ma anche di diventare calvi, grassi, gobbi, vecchi, ricchi. Con la paura di perdere i treni e di arrivare in orario agli appuntamenti. Paura che scoppi una bomba, di rimanere invalidi; paura di perdere un braccio, un occhio, un dente, un figlio, un foglio. Un foglio su cui avevamo scritto una cosa importantissima. Paura dei terremoti, paura dei virus, paura di sbagliare, paura di dormire; paura di morire prima di aver fatto tutto quello che dovevamo fare. Paura che nostro figlio diventi omosessuale, di diventare omosessuali noi stessi. Paura del vicino di casa, delle malattie, di non sapere cosa dire; di avere le mutande sporche in un momento importante. Paura delle donne, paura degli uomini, paura dei germi, dei ladri, dei topi e degli scarafaggi. Paura di puzzare, paura di votare, di volare, paura della folla, di fallire, paura di cadere, di rubare, di cantare. Paura della gente. Paura degli altri.

Marco


martedì 22 marzo 2011

Film della settimana: Fratello, dove sei?


Di Joel e Ethan Coen

Con George Clooney, John Turturro, Tim Blake Nelson

“Voi cercate una grande fortuna. Voi tre, che siete ora in catene, troverete una fortuna, anche se non sarà la fortuna che cercate. Ma prima dovete viaggiare, percorrere una strada lunga e accidentata, una strada irta di pericoli. Vedrete cose che al racconto susciteranno meraviglia. Voi vedrete una mucca sul tetto di una casa del cotone, e tanti e tanti fatti portentosi. Non posso dirvi quanto sarà lunga questa strada, ma non temete gli ostacoli lungo il percorso, poiché il fato vi ha accordato una ricompensa. Anche se la strada è tortuosa, e il cuore scoraggiato e afflitto, voi seguite il vostro cammino, seguitelo fino alla vostra salvezza.” Con queste parole dal sapore profetico comincia il lungo viaggio di Everett Ulysses McGill e dei suoi due amici verso casa, tre strampalati galeotti fuggiti dai lavori forzati nei campi del Mississippi. A pronunciarle è un vecchio e saggio non vedente incontrato quasi per caso sui binari assolati di una ferrovia, un moderno Tiresia in abiti sgualciti, figura mitica col potere di prevedere il futuro, narrata da Omero nel poema epico più famoso del mondo.

Il soggetto di Fratello, dove sei? (il bellissimo titolo originale è in inglese antico, O Brother, Where Art Thou?) è liberamente ispirato alle peripezie di Ulisse raccontate nell’Odissea, rilette in chiave apertamente surreale, in pieno stile fratelli Coen. Molteplici sono i riferimenti al poema omerico inseriti in questo road movie che si snoda nel profondo sud dell’America anni Trenta: un Ciclope camuffato da venditore di bibbie, l’affascinante Nausicaa e le sue ancelle, che sembrano appena uscite da un musical dai risvolti sexy, e soprattutto Penelope, moglie lontana e meta da raggiungere, caduta nelle mani del più valoroso dei Proci.

Sulle note della splendida ballata I’m a man of costant sorrow, l’Ulisse del film, antieroe per eccellenza, riesce a sfuggire alle insidie della sorte e a riconquistare la dolce amata. Come nell’Odissea di Omero, il lieto fine è scontato e assicurato. Non la cosiddetta morale, fortunatamente, come ricordano le parole pronunciate dal personaggio interpretato da George Clooney nel bel mezzo delle vicende: “è da folli cercare un senso nei meandri del cuore umano”.

Fratello, dove sei? è il numero 576 della videoteca di Dedalo.

Marco

venerdì 18 marzo 2011

Monologhi: Johnny Depp a.k.a. Axel Blackmar

Questa volta vi segnaliamo un monologo preso da Arizona Dream, film del 1993 di Emir Kusturica. Il film si apre con un monologo interiore di Axel Blackmar, personaggio interpretato da un giovane Jonnhy Depp, un ragazzo che lavora al dipartimento della caccia e della pesca di New York, e trascorre gran parte del tempo in compagnia dei pesci. Li osserva, li studia, e li ama da morire. Questo monologo è dedicato proprio a loro.

Buongiorno Colombo! Diceva sempre così mia madre per ricordarmi che l’America è già stata scoperta e che i sogni sono molto lontani dalla realtà. 
Ma che senso ha vivere se qualcuno ti ha già spiegato la differenza tra una mela e una bicicletta?
 Se mordo una bicicletta e faccio un giro su una mela allora scoprirò la differenza!Ma pensare a cosa fare mi stancava più dello stesso fare. Ricordo che mio padre una volta disse che per vedere l’anima di una persona bisognava farsi raccontare i suoi sogni: questo ti avrebbe permesso di avere pietà di quelli che stanno nella merda anche più di te. Mi chiamo Axel Blackmar e lavoro per il dipartimento della caccia e della pesca.
 Molta gente pensa che io conti i pesci ma non è così! Io li osservo: osservo le loro anime e leggo i loro sogni, e poi li faccio entrare nei miei sogni. La gente pensa che i pesci sono stupidi, ma io ho sempre saputo che non lo sono, perché loro sanno sempre quando stare zitti. E’ la gente che è stupida! I pesci sanno tutto e non hanno bisogno di pensare. I pesci nascono in piccoli corsi d’acqua, dopo io li preparo per l’oceano, e quando sono pronti per morire, tornano nel luogo dove sono nati. 
Sta qui il mio legame con loro: io sono tornato in città.
 Comunque questo è il mio lavoro: immobilizzo temporaneamente i pesci con una scarica elettrica e poi li pesco uno alla volta.
 A volte scruto a fondo gli occhi di un pesce e ci vedo dentro tutta la mia vita. Solo i pesci hanno questa facoltà e io li amo per questo. 
Comunque, prendo i pesci, li etichetto, li misuro, li peso, mi assicuro che stiano bene. E se hanno voglia di parlare, sono sempre disponibile. E’ come essere il dio dei pesci.
 E davvero non ho mai sentito un pesce mentire,
non ho mai visto un pesce nuotare nella merda come fanno gli esseri umani.

Marco

martedì 15 marzo 2011

Film della settimana: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto


Di Elio Petri

Con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è uno dei rari film italiani ad essersi aggiudicato una splendida doppietta: il Grand Prinx della Giuria al Festival di Cannes e il Premio Oscar come miglior film straniero, ottenuti soprattutto grazie alla collaborazione di Ugo Pirro, Elio Petri, e Gian Maria Volonté. E’ anche uno dei film più tragicamente attuali mai realizzati in Italia negli ultimi seimila anni.

Il protagonista, il nuovo capo della sezione omicidi di Roma, è afflitto da uno strano tipo di ossessione, ai limiti della nevrosi: vuole testare fino a che punto la sua posizione possa garantirgli l’impunità davanti agli occhi della legge. Il film si apre con un delitto ai danni di una giovane e avvenente prostituta, con la quale trascorreva lunghe notti di piacere quando non era in servizio. Appena commesso il fatto, però, ha un comportamento a dir poco singolare: lascia evidenti prove del suo passaggio sulla scena del delitto (impronte digitali, fili di tessuto della cravatta, etc…), quindi chiama la polizia e segnala l’omicidio. Rientrato in centrale, s’impegna a seguire il caso; le indagini, pesantemente manipolate, portano sulle tracce di un ragazzo innocente: Antonio Pace, presunto membro di un movimento politico sovversivo.

Nel finale, quando la verità sta per venire a galla, succede qualcosa di inaspettato. Ovviamente, non saremo di certo noi a rovinarvi la sorpresa.

Piuttosto, è interessante ricordare quanto sostenne lo stesso Petri in uno scritto comparso anni fa in La avventurosa storia del cinema italiano, rispetto alla perenne attualità di un film come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, perché sembra riguardare una parte comune a tutti noi: “lo credo che se Indagine ottiene ancora consensi è perché in esso c'è qualcosa che riguarda la nostra interiorità. Ognuno ha la sua fetta di potere e tende ad esercitarla in modo autoritario, perchè dentro di noi è disegnata una società repressiva che domanda continuamente una presenza paterna, facendo di tutti noi dei bambini.”

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è il film che questa settimana abbiamo scelto per voi, e non potete perdervelo per nessuna ragione al mondo. E’ il numero 575 della videoteca di Dedalo.

Marco

venerdì 11 marzo 2011

Monologhi: Roberto Benigni a.k.a. Bob

Oggi vi segnaliamo il monologo di un film che vede come protagonista Roberto Benigni nella sua prima esperienza cinematografica fuori dai confini dell’Italia. Nel 1986, dopo aver studiato intensamente l’inglese per tre mesi, l’attore toscano recita al fianco di Tom Waits e John Lurie in Down by law, film scritto e diretto da Jim Jarmusch, ambientato tra i sobborghi di New Orleans e le paludi della Lousiana. Bob, Zack e Jack, compagni di cella nella Orleans Parish Prison, riescono ad evadere dal carcere grazie ad uno stratagemma dell’italiano, e per seminare al più presto i propri inseguitori si avventurano alla cieca in un bosco molto fitto. Non è facile però orientarsi in un luogo del genere, e la consapevolezza di essersi smarriti porta presto forte attrito nel gruppo di fuggiaschi: Zack e Jack arrivano addirittura a darsele di santa ragione per futili motivi, e abbandonano Bob in mezzo alla foresta. Lui aveva appena catturato un coniglio e voleva dividere la cena con i due amici, ma, viste le circostanze, si ritrova a fare tutto da solo. Mentre sta “cucinando” la preda, gli tornano alla mente i ricordi della famiglia lontana in Italia:

Zack, Jack! Jack, Zack! Perché mi lasciate solo? C’è un ottimo coniglio qui. Me l’ha insegnato a cucinare mia mamma Isolina… è il nome della mia mamma. Con rosmarino, olio d’oliva, aglio… e i segreti di Isolina. Lei prima è gentile con il coniglio: “Sei bello coniglietto, che begli occhi!” E poi il colpo. E’ strana la mia mamma. Mio padre no. E’ forte ma ha paura dei conigli. Mia sorella… ho una madre e tre sorelle, Bruna, Albertina e Anna. Avevo una foto della mia mamma nella mia stanza… che ride con in mano un coniglio e l’altra così… A volte sogno la mia mamma che mi chiama: “Su Robertino, vieni qua” “no, non voglio”. “Vieni vieni”, tac! Che botta sul collo! “Non sono un coniglio” “si lo sei”. E’ strana la mia mamma, ma voglio bene alla mia mamma Isolina, e al mio babbo Gigi, e alle mie sorelle Bruna, Albertina e Anna, alla mia famiglia e al mio coniglio. Mi piace andare a caccia, sognare… Zack, Jack! Che bello rivedervi! Venite a mangiare il coniglio che ho cucinato! Venite!

Marco

martedì 8 marzo 2011

Monologhi: Margaretha Krook a.k.a. la dottoressa

Il secondo capitolo della rubrica Monologhi è tratto da una scena di Persona, film sperimentale di Ingmar Bergman del 1966, e vede come protagonista Margaretha Krook nei panni della dottoressa di un ospedale psichiatrico svedese.

L’attrice Elisabeth Volger, personaggio interpretato da Liv Ullmann, ha una crisi isterica sul palcoscenico durante la rappresentazione dell’Elettra: è vinta da un inspiegabile mutismo improvviso che la porta ad abbandonare il lavoro e a rinunciare alle relazioni con gli altri. Ricoverata in ospedale per accertare il suo stato di salute, risulta completamente sana sia di fisico che di mente. La dottoressa che la cura capisce la natura volontaria del comportamento di Elisabeth, e si rivolge alla donna in questo modo:

Credi che non ti capisca? Tu insegui un sogno disperato, questo è il tuo tormento. Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te, e vigile. E nello stesso tempo ti rendi conto dell’abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa. Provoca quasi un senso di vertigine il timore di vedersi scoperta, vero? Di vedersi messa a nudo, smascherata, riportata ai suoi giusti limiti. Poiché ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia, qual è il ruolo più difficile? Togliersi la vita? Ma no, sarebbe poco dignitoso, meglio rifugiarsi nell’immobilità, nel mutismo, si evita di dover mentire. Oppure mettersi al riparo dalla vita, così non c’è bisogno di recitare, mostrare un volto finto e fare gesti voluti. Non ti pare? Questo è ciò che si crede. Ma non basta celarsi, perché vedi la vita si manifesta in mille modi diversi, ed è impossibile non reagire. A nessuno importa sapere se le tue reazioni sono vere oppure false, sincere oppure bugiarde, solo a teatro il problema si rivela importante, e forse neanche lì. Io ti capisco Elisabeth, capisco il tuo silenzio, questa tua immobilità, e perché tu abbia elevato a sistema di vita la tua assurda apatia. Capisco, e quasi ti ammiro. Secondo me dovresti continuare a recitare la tua parte fino in fondo, finché essa non perda ogni interesse e abbandonarla così come sei abituata a fare, passando da un ruolo all’altro.

Qui trovate, uno accanto all'altro, il monologo in lingua originale e quello doppiato in italiano.

Marco

lunedì 7 marzo 2011

Film della settimana: Ferro 3 - La casa vuota


di Kim Ki Duk

con Hee Jae e Seoung-yeon Lee

Esistono persone che abitano temporaneamente case altrui quando i proprietari non ci sono: se ne prendono cura, sistemano le cose fuori posto, raddrizzano i quadri storti. Poi se ne vanno, e cercano un’altra casa da far “rivivere”. Dalle ville alle case popolari ogni spazio privato che le ospita subisce dei piccoli miglioramenti. Sono persone che per comunicare non si affidano al linguaggio verbale, non ne sentono particolare necessità. Si esprimono in azioni concrete, piccoli gesti, sguardi, e grazie a questi elementi riescono in parte a conoscersi, avvicinarsi e trovarsi.

Gli altri, i personaggi che ruotano attorno alla storia, parlano tanto e spesso non si capiscono, fanno chiasso, si agitano e litigano. I problemi nascono quando le interferenze tra i due mondi si fanno più frequenti e marcate, quando il secondo irrompe con tutta la sua violenza nel primo.

E’ molto bello vedere quale tipo di soluzione riescono a trovare Sun-Hwa e Tae-Suk alla fine del film, per garantirsi spazi di vita serena e invisibile alle spalle di un mondo che sta perdendo la capacità di vedere porzioni di realtà. Fortunati loro.

Ferro 3 propone un tipo di recitazione che può interessare tutti noi che abbiamo a cuore questo tipo di linguaggio. E’ il film che noi vi consigliamo questa settimana. E’ il numero 443 della videoteca di Dedalo.

Marco

giovedì 3 marzo 2011

Monologhi: Toni Servillo a.k.a. Giulio Andreotti

Accanto a Film della settimana, oggi il blog di Dedalo inaugura Monologhi, una nuova rubrica che ha l’ambizione di raccogliere i monologhi a nostro avviso più significativi della storia del cinema e del teatro disponibili in rete. E’ anche un modo per suggerire spunti sui quali lavorare durante l’anno quando è necessario avere un monologo pronto da provare in classe, o semplicemente per tenerli a mente in vista delle temutissime audizioni finali di giugno e settembre. E, soprattutto, per i provini ai casting.

Il primo monologo che vogliamo qui ricordare è tratto da un film molto famoso, Il divo di Paolo Sorrentino, che magari qualcuno di voi non ha ancora visto (e allora fatelo immediatamente, cosa aspettate!), ma del quale sicuramente tutti ne avrete sentito parlare. E’ la risposta del cinema ai loschi affari fatti da Andreotti e la sua cricca nel corso della seconda metà del secolo scorso.

Giunto al settimo mandato da Presidente del Consiglio dei Ministri, e con le indagini della magistratura che stringono sempre più sui rapporti tra il divo Giulio e la mafia, il personaggio interpretato da Toni Servillo, simulando un dialogo ipotetico con la moglie Livia, trova il coraggio di confessare in privato le proprie colpe. Tuttavia non sembra pentirsene, tutt’altro.

Ecco il testo del monologo:

Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato al cimitero del Verano, si passeggiava e io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa, ti ricordi? Si lo so gli occhi tuoi pieni e puliti, incantevoli e incantati non sapevano non sanno e non sapranno e non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te; gli occhi tuoi pieni, puliti e incantati non sanno la responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984 e che hanno avuto per la precisione 208 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico si, confesso è stato anche per mia colpa , mia colpa, mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il paese, provocare il terrore, isolare le parti politiche estreme, per rafforzare i partiti di centro come la DC. La hanno definita strategia della tensione: sarebbe più corretto dire strategia della sopravvivenza. Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Aldo, per vocazione o per necessità, ma tutti irriducibili amanti della verità, tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta e invece è la fine del mondo! Noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta! Abbiamo un mandato noi, un mandato divino! Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch'io.

Marco