mercoledì 30 novembre 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Coffee and Cigarettes"

Coffee and Cigarettes è un progetto cinematografico di Jim Jarmusch formato da 11 cortometraggi in bianco e nero realizzati a partire dal 1986. Sono 11 varianti di una medesima situazione che vede come elementi costanti un tavolino di un bar, delle tazze di caffè bollente e tante, tantissime sigarette fumate con gusto da persone piuttosto singolari: amici, fratelli, improbabili cugini o perfetti sconosciuti. Tra una boccata di sigaretta e un sorso di nero caffè americano i personaggi parlano di cose effimere e inutili, inventandosi spesso frottole di sana pianta che fanno morire dal ridere. Come la poco credibile seconda professione di Tom Waits, famoso musicista durante il giorno e sconosciuto medico chirurgo la notte che salva la vita a gente quasi morente con il tappino di una biro. E via così.

Il dialogo che vi consigliamo oggi è preso dal terzo capitolo della serie, intitolato Somewhere in California, e vede come protagonisti i vecchi amici Iggy Pop e Tom Waits.


TOM: Sono tue le sigarette?

IGGY: No, erano già lì quando mi sono seduto.

TOM: Ah.

IGGY: Tu non fumi no?

TOM: No… no, ho smesso.

IGGY: Grazie al cielo neanch’io.

TOM: Un taglio netto.

IGGY: Basta veleno! Ormai sono 25 anni… ah, mio dio!

TOM: Finito.

IGGY: Sono pieno di energie.

TOM: Oh! Io sono rinato.

IGGY: E poi da quando ho smesso… insomma tutto è… tutto è più… ssshhh.

TOM: Sì, sì è tutto più a fuoco, pazzesco. E’ vero.

IGGY: E’ vero?

TOM: Per me è uguale.

IGGY: Che pena mi fanno quei coglioni che si affumicano il cervello e i bronchi. Non hanno forza di volontà.

TOM: Sempre col ciuccio! Sai cosa? Il bello è che quando si smette è che… è che avendo smesso, posso anche fumarne una. Perché ho smesso.

IGGY: Eh…

TOM: Capisci, è un fatto ornamentale, non è mica… non l’aspiro nemmeno.

IGGY: Mh…

TOM: Perché non mi tieni compagnia?

IGGY: Perché no? Sì, tanto ho smesso anch’io.

TOM: Certo! L’essenziale è smettere poi una te la puoi fumare, no?

IGGY: Adesso posso no? Come no. Ok.

TOM: Ecco.

IGGY: Oh! Alla faccia… salute eh?

TOM: Sì! Adesso hai capito cosa vuol dire smettere?

IGGY: Ah… caffè e sigarette, questo sì che è un matrimonio.

TOM: Non si batte.

Marco

lunedì 28 novembre 2011

Monologhi: Lionel Abelanski a.k.a. Shlomo

Nel 1998 dalla Romania arriva un film di notevole interesse, Train de vie, una rilettura surreale della tragedia della Shoa. Il regista e sceneggiatore del film è Radu Mihăileanu, autore del recente Le Concert. La trama è tanto semplice quanto geniale: gli abitanti di un piccolo villaggio ebraico dell’Europa dell’Est, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, decidono di creare un finto treno di deportazione per fuggire dall’Europa e raggiungere la Palestina, futura terra promessa. La buffa idea che salverà la vita a tutti gli abitanti dello shtetl è di Shlomo, il pazzo del villaggio. Solo a pochi secondi dalla fine, però, si scopre che tutta la storia alla quale abbiamo assistito è il frutto bizzarro di una mente fantasiosa. Vediamo il bel faccione di Shlomo dietro ad un filo spinato che, sorridente, ci dice: “Questa storia è vera… o quasi”. E giù pianti.

Il monologo tratto dal film è proprio dello stesso Shlomo. Rivolgendosi al rabbino della comunità, il nostro esprime alcune ragionevoli perplessità sull’esistenza di Dio, suscitando non poco sconcerto tra i compagni di viaggio.


“Dio creò l’uomo a sua immagine”… è bella. Gloime ha immagine di Dio. Ma chi l’ha scritta questa frase nella Torah? L’uomo, non Dio. L’uomo. L’ha scritta senza modestia paragonandosi a Dio. Dio forse ha creato l’uomo, ma l’uomo… l’uomo, il figlio di Dio, ha creato Dio solo per inventare sé stesso. L’uomo ha scritto la Bibbia per paura di essere dimenticato, infischiandosene di Dio. Rabbino, non amiamo e non preghiamo Dio, ma lo supplichiamo, lo supplichiamo perché ci aiuti a tirare avanti. Cosa ci importa di Dio per come è? Ci preoccupiamo solo di noi stessi. Allora la questione non è solo sapere se Dio esiste, ma se noi esistiamo.

Marco

martedì 25 ottobre 2011

Dialoghi: sequenza tratta da “The Social Network”

Quest’oggi la rubrica Dialoghi vi segnala una sequenza di The Social Network, film dello scorso anno diretto da David Fincher, vincitore di quattro Golden Globe e tre premi Oscar, tra cui miglior sceneggiatura non originale (il film è tratto dal fortunato libro di Ben Mezrich Miliardari per caso – L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento). Jesse Eisenberg interpreta Mark Zuckerberg, il nerd più famoso di Harvard degli ultimi anni, inventore, insieme all’amico Eduardo Saverin, di Facebook. Il film racconta le vicissitudini dei due compagni di università che, nemmeno ventenni, crearono il social network più popolare di tutti i tempi, tra colpi di genio, inganni, inimicizie e cause legali. Forse è il film più riuscito dello scorso anno, e probabilmente uno dei più belli degli ultimi dieci.

Il dialogo che trovate qui sotto racconta l’inizio della storia, quando Eduardo e Mark mettono per la prima volta online la loro invenzione. Era il 4 febbraio 2004.


SAVERIN: Ti aspettavo alle 9.

ZUCKERBERG: Devo aggiungere…

SAVERIN: Hai dormito un po’?

ZUCKERBERG: Devo aggiungere una cosa!

SAVERIN: Che?

ZUCKERBERG:

SAVERIN: Cazzo mi piace, è veramente fico!

ZUCKERBERG: Semplice e pulito: niente Disneyland, niente ragazze nude in chat, però guarda…

SAVERIN: Che scrivi?

ZUCKERBERG: "Situazione sentimentale", ti piaccio? E' questo che smuove la vita in università. Vuoi fare sesso o non vuoi? Per questo la gente si sceglie certi corsi o si siede in un posto invece di un altro. Diciamo che nella sua essenza è questo che “TheFacebook” sarà per loro. Si connetteranno perché dopo le patatine e i pasticcini c’è la possibilità che riescano davvero a…

SAVERIN: A scopare!

ZUCKERBERG: Conoscere una ragazza, sì.

SAVERIN: E’ veramente fico.

ZUCKERBERG: E ci siamo.

SAVERIN: Che vuoi dire?

ZUCKERBERG: E’ pronto.

SAVERIN: E’ pronto?

ZUCKERBERG: Sì.

SAVERIN: Adesso?

ZUCKERBERG: Ho finito. E questo è il colophon.

SAVERIN: Hai fatto un colophon?

ZUCKERBERG: Sì.

SAVERIN: Eduardo Saverin cofondatore e direttore finanziario.

ZUCKERBERG: Già.

SAVERIN: Non hai idea di che cosa vorrà dire per mio padre.

ZUCKERBERG: Sì invece.

SAVERIN: E quando saremo online?

ZUCKERBERG: Adesso. Prendi il tuo portatile.

SAVERIN: Perché serve il mio portatile?

ZUCKERBERG: Perché hai le email di tutti quelli del Phoenix.

SAVERIN: Oh… si, ma non so se è una buona idea se ora spammo le loro caselle.

ZUCKERBERG: Questo non è spam.

SAVERIN: No no, lo so che non è spam…

ZUCKERBERG: Se le mandiamo ai nostri amici facciamo solo il giro del laboratorio.

SAVERIN: Non mi hanno ancora ammesso.

ZUCKERBERG: E’ gente che conosce gente, e mi servono le loro email.

SAVERIN: Certo.

ZUCKERBERG: Bene. Dammi la mailing list.

SAVERIN: Cicerampa.lisserf@harvard.com

ZUCKERBERG: Non ci credo. Geni della letteratura… usare il personaggio più scontato di Lewis Carrol per…

SAVERIN: Non sono così male.

ZUCKERBERG: Tanto per dire.

SAVERIN: Sì, hai ragione.

ZUCKERBERG: Il sito è in rete.

SAVERIN: Allora andiamo a bere, dobbiamo festeggiare. Offro io!

ZUCKERBERG:

SAVERIN: Mark? Mark? Stai pregando?

Marco

mercoledì 12 ottobre 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Il grande Lebowski"

Il Grande Lebowski è un film del 1998 scritto, prodotto e diretto da Joel e Ethan Coen. Jeffry Lebowski alias il “Drugo”, interpretato da Jeff Bridges – attore feticcio dei due fratelli di Minneapolis, viene trascinato in una infinita serie di sventure a causa di uno sfortunato caso di omonimia. Il fatto scatenante le vicende è esilarante: due killer irrompono nella casa butterata del Drugo, e trovandosi di fronte la persona sbagliata decidono di urinare sul suo amatissimo tappeto senza motivo alcuno. Il nostro si mette così sulle tracce del magnate Jeffry Lebowski per farsi risarcire il danno. Questa scelta lo farà precipitare in un vortice di situazioni grottesche e surreali, complice l’imprevedibile amico Walter Sobchak, artefice di strategie investigative non proprio efficaci. Nonché suo compagno di team nel torneo di bowling della città, ai quali i due sembrano tenere più di ogni cosa.

Proprio nella “sacra” sala da bowling è ambientato il piccolo dialogo tratto dal film, eccolo.


DRUGO: Senti, dammene un altro.

GARY: Subito.

DRUGO: Begli amici quelli eh, Gary.

GARY: Hai ragione Drugo.

STRANIERO: Hai una buona salsapariglia?

GARY: Beh, ci arriva da zio Siti!

STRANIERO: Si, quella è buona. Come te la passi Drugo?

DRUGO: Non troppo bene.

STRANIERO: Una di quelle giornate eh?

DRUGO: Già.

STRANIERO: Beh, uno molto più saggio di me una volta mi disse: “A volte sei tu che mangi l’orso - muito obrigado - e altre volte è l’orso che mangia te”.

DRUGO: E’ un modo di dire dell’est?

STRANIERO: No, veramente. Hai un certo stile, mi piaci.

DRUGO: Grazie, anche tu sei forte. Ho sempre avuto un debole per il cowboy come concetto.

STRANIERO: Grazie. Solo una cosa, Drugo.

DRUGO: Sarebbe?

STRANIERO: Devi proprio dire tutte quelle parolacce?

DRUGO: Ma che cazzo dici amico?

STRANIERO: Ok Drugo, fai come ti pare. Stammi bene Drugo.

DRUGO: Grazie, ci vediamo.

Marco

mercoledì 28 settembre 2011

Monologhi: Nanni Moretti a.k.a. Nanni Moretti (!)

Nel 1998 Nanni Moretti firma la regia di Aprile, suo ottavo film, del quale è anche attore protagonista nel ruolo di se stesso. Dopo la vittoria schiacciante ottenuta dalla destra nel 1994, che ha consacrato l’ascesa di Silvio Berlusconi nel panorama politico italiano, Moretti sente il bisogno di fare un documentario sull’Italia per indagare le ragioni che hanno portato una simile tragedia. Peccato però che più volte nel bel mezzo delle pianificazioni del progetto di cui, a parole sue, l’Italia stessa ha cotanto bisogno, Moretti abbandoni l’idea in favore di un musical su un pasticciere trotskista. Alla fine porterà a termine proprio questo secondo progetto, realizzando così il suo più grande desiderio, come confermano queste parole: “Che bello sarebbe se riuscissi a girare quel film musicale, gli anni ’50… a sinistra tutti per Stalin, però c’è un pasticcere, trotskista, isolato, calunniato che solo nel suo laboratorio, tra le sue paste e le sue torte, è felice. E dimentica. E balla”.

Il monologo tratto dal film riguarda il capitolo del documentario sull’Italia dedicato al giornalismo. C’è da ridere e c’è pure da piangere, ahinoi.


“Salve”. “Salute”. “Come Stai?”. “Il Mio Giardino”. “Gardenia”. “Quattro Ruote”. “Quattro Zampe”. “Cani – Una rivista di razza”. “Essere”. “Volare”. “Correre”. “Il Mio Condominio”. “Grazia”. “Scarpe e Sport”. “Le Specialità di Lisa Biondi”. “Pasta Magazine”. “Ville e Casali”. “Cose Antiche”. “Case Antiche”. “Sirio”. “Astra”. “Progresso Fotografico”. “L’Espresso”, se posso ordinare le copertine dell’”Espresso” degli ultimi dieci anni, mi servono per una ricerca. “Bolina”. “Cicloturismo”. “Il Corriere della Sera”. “La Stampa”. “Il Gommone”. “Montagna”. “Legno e Pietra”. “La Repubblica”. “La Manovella e Ruote a Raggi”. “Archeo”. “Bell’Italia”. “Airone”. Un capitolo del mio documentario sull’Italia è dedicato al giornalismo. Comincio subito a tagliare e ritagliare, incollare e cucire e mi accorgo che i giornali sono uguali e soprattutto usano e si scambiano sempre gli stessi giornalisti. C’è quello che scrive di politica su un quotidiano, di cinema su un settimanale di sinistra e di letteratura su un mensile di destra. C’è quell’altro che scrive contemporaneamente sul Corriere della sera, su un settimanale femminile e su un mensile delle Ferrovie dello Stato. E naturalmente vignette e satira politica ovunque, perché la satira non ha padroni, quindi sta bene sotto ogni padrone. Insomma, un unico, grande giornale.

Marco

giovedì 22 settembre 2011

Dialoghi: Sequenza tratta da "Le conseguenze dell’amore"

La rubrica Dialoghi torna alla carica, e come prima scena della nuova stagione del blog vi propone un dialogo tratto da un film italiano molto bello, Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino. Protagonista assoluto è Toni Servillo nei panni di Titta Di Girolamo, un uomo che vive solo in una stanza d’albergo del Canton Ticino da otto anni, e soffre d’insonnia. Queste sono le poche informazioni date allo spettatore all’inizio del film. La vita del signor Di Girolamo sembra quella di un automa: tutte le settimane compie le stesse azioni agli stessi orari, mai uno sgarro. Qualcosa comincia ad incrinarsi nel suo assoluto rigore esistenziale quando una donna entra nella sua vita, e lo porta a scrivere su un cartoncino le parole che danno il titolo al film: “progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore”.

Il dialogo che segue vede come protagonista il nostro alle prese con l’albergatore dell’hotel.


ALBERGATORE: Puntuale come sempre.

TITTA DI GIROLAMO: Siamo in Svizzera, no?

ALBERGATORE: Mhmh…

TITTA DI GIROLAMO: C’è qualche problema?

ALBERGATORE: Un cliente dell’albergo viene da me e mi dice: “Quel suo cliente, Di Girolamo, non è vero che fa l’intermediario finanziario, mente.” “E con questo?” gli dico. “E’ una cosa sospetta - dice lui - si dovrebbe indagare”. E’ a questo punto che gli ho dato la mia risposta. Una risposta che avrebbe fatto inorgoglire qualsiasi direttore d’albergo. La vuole sentire?

TITTA DI GIROLAMO: Sono pronto.

ALBERGATORE: Gli dico: “Gentile cliente, il dottor Titta Di Girolamo paga puntualmente la sua stanza ogni primo del mese da otto anni a questa parte. Ma non paga solo una stanza o una pensione completa… nel prezzo della stanza è compreso un altro servizio: la discrezione.” Questo gli ho risposto.

TITTA DI GIROLAMO: Una risposta notevole.

ALBERGATORE: Eh sì, è vero. Tuttavia, mi è rimasta una curiosità personale. Si insomma, lei, che lavoro fa veramente?

TITTA DI GIROLAMO: Lei è una persona troppo intelligente per non sapere che ogni uomo ha un suo segreto inconfessabile. Facciamo così, lei mi racconta il suo segreto più inconfessabile, il più recondito, e io le racconto il mio.

ALBERGATORE: Lei sarebbe un magnifico giocatore di poker. Ha il volto immobile…

TITTA DI GIROLAMO: Lei sta prendendo tempo.

ALBERGATORE: Ho rubato un paio di sci. Si, parecchio tempo fa, in montagna, fuori da un rifugio. E poi un’ora dopo stavo risalendo e ho incrociato con lo sguardo un tizio che scendeva giù in seggiovia, era infuriato. Aveva gli scarponi ai piedi, aveva le racchetta ma non aveva gli sci. Aveva una faccia talmente antipatica… non mi sono affatto sentito in colpa. Adesso tocca a lei.

TITTA DI GIROLAMO: Avrò avuto vent’anni, ero in cucina con il mio fratellastro di un anno, dovevo controllare se la sua pastina era troppo calda. La assaggio, era tiepida. Faccio anche un’altra scoperta, era molto buona. Una gran pastina al pomodoro. Io m’ingozzo avidamente davanti a lui mentre lui piange dalla disperazione. Ma credo che sarà sopravvissuto al digiuno di quel giorno.

ALBERGATORE: Mi sono divertito molto.

TITTA DI GIROLAMO: Anch’io.

Marco


martedì 20 settembre 2011

Novità settembrine

Ciao a tutti!

Il blog di Dedalo riapre ufficialmente le danze!

A luglio c’eravamo lasciati con la promessa di alcune novità per questa nuova stagione, e visto che a noi le promesse piace mantenerle, eccone una fresca fresca: Dedalo Teatro ha aperto un canale youtube, in cui potete vedere i trailer degli spettacoli tenuti al Teatro Trebbo nel mese di giugno. Ricapitolando, i cinque saggi portati in scena sono stati “Al vertice di possibilità” di Camilla Antoniotti, “Dimenticammo i sogni più belli” di Massimiliano de Mattia, “Taxisti di giorno (Del mondo e anche del resto)” di Beatrice Morandi, “…finché l’acqua scorrerà…” di Laura Tombini e “Dove nuotano le pernici rosse” di Laura Butti. Oltre a questi cinque video sul nostro canale youtube troverete un maxitrailer che raccoglie alcuni momenti di tutti i saggi, come se fossero un unico grande spettacolo, e pure un video contenente alcune scene girate durante le lezioni di recitazione cinematografica lo scorso anno nelle aule di Dedalo. Insomma, ce ne sono di cose da vedere, fatevi un giro su youtube! L’indirizzo è questo (e se vi piacciono i video, iscrivetevi al canale eh, mi raccomando): http://www.youtube.com/user/DedaloTeatro

Presto ricominceranno le segnalazioni di monologhi e dialoghi tratti da film più o meno famosi disponibili in rete.

Siamo sempre aperti a suggerimenti e consigli di ogni tipo.

A presto.

Marco


martedì 12 luglio 2011

Il volo - la foto vincitrice


Si è conclusa la prima edizione del concorso fotografico di Dedalo Teatro, dal tema Il volo. La fotografia vincitrice, la numero 1 (manco a farlo apposta), è stata premiata lo scorso 24 giugno da Roberto Fossati in occasione della festa di fine anno dell’associazione.

L’autrice dello scatto è Maria Pia Rega, e l’attrice fotografata Sara Insaudo, entrambe associate solo da quest’anno a Dedalo Teatro. Complimenti per l’idea, per l’impegno e per la tecnica di realizzazione!

Una menzione speciale è stata assegnata alla foto numero 23 di Stefano Beccaro, per l’originalità del contenuto, e alla numero 10 di Marco Scotuzzi, per consenso popolare. Bravi pure loro.

Aspettiamo da voi suggestioni o consigli sul tema della prossima edizione del concorso, siamo aperti a qualsiasi stimolo. Avete tutta l’estate per pensarci, e forse anche qualcosa di più.


Ora, a luglio inoltrato, il blog di Dedalo se ne va in vacanza per qualche tempo, ma tornerà presto più in forma che mai e con alcune novità al seguito. Cogliamo l’occasione per augurare a tutti una buona e serena estate. Ci rivediamo a settembre, freschi e rilassati.

Marco

lunedì 20 giugno 2011

Monologhi: Kevin Kline a.k.a. Jacques

Come vi piace è un film del 2006 diretto da Kenneth Branagh, trasposizione cinematografica dell’omonima commedia pastorale di William Shakespeare. E’ stato girato nei pressi di Londra, ma l’ambientazione è ispirata al Giappone del XIX secolo.

Il monologo tratto dal film vede come protagonista Jaques, amico del Duca esiliato nella Foresta di Arden, e innamorato della giovane Aldrina.


Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti, uomini e donne siamo attori. Con le nostre uscite e le nostre entrate. Un uomo, nel corso della vita, interpreta molte parti: sette età suddivise in sette atti. Dapprima il bambino, coi suoi versetti, che sbava in braccio alla nutrice. Poi lo scolaro piagnucoloso, coi suoi libri, ed il volto intirizzito dal mattino, che si trascina svogliato, come una lumaca, verso la scuola. Poi l’innamorato, che sospira come una fornace la triste ballata composta per il sopracciglio della donna amata. Dopo viene il soldato, con le sue bizzarre imprecazioni, baffuto come un leopardo, geloso del suo onore, impulsivo e pronto alla lite; alla ricerca di una effimera reputazione perfin nella bocca di un cannone. Poi il giudice, dalla bella pancia rotonda piena di capponi grassi, con l’occhio severo, con la barba ben curata, che sputa sagge massime, banalità che ritiene moderne, e anche lui recita la sua parte. La sesta età ti trasforma in un debole e sonnacchioso Pantalone, con i suoi occhialetti sul naso e una borsa al fianco, calzoni di quand’era giovane, ben conservati, ma oramai troppo larghi per le sue gambe rinsecchite; il bel timbro maschile della voce regredito ad una vocina fanciullesca: falsetti e soni acuti gli escono di bocca. L’ultima scena, poi, in fondo a questa strana e lunghissima storia, è una seconda fanciullezza: completo oblio, senza denti, senza occhi, senza gusto… senza niente.

Marco

venerdì 10 giugno 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Prendi i soldi e scappa"

Prendi i soldi e scappa è il primo film di Woody Allen, girato nel lontano 1969, quando il regista era poco più che trentenne. Grazie a questo “falso documentario” (definizione dell’autore) Allen conquista il pubblico di tutto il mondo e si impone come nuovo astro nascente della comicità made in USA.

Il film racconta la vita di Virgin Starkwell, giovane ladruncolo da strapazzo totalmente imbranato a misurarsi con il mondo della malavita.

La scena che vi proponiamo oggi è a dir poco surreale, e racconta di un colloquio di lavoro in cui il nostro mette a dura prova il suo interlocutore (esperimento da non ripetere nella vita reale, se ci tenete davvero al lavoro).


DATORE DI LAVORO: Si accomodi. Il suo nome, prego?

VIRGIL: John C. Public. Public, ci dev’essere una L in mezzo.

DATORE DI LAVORO: Mister Public, ha avuto esperienze in qualche ufficio prima d’ora?

VIRGIL: Sì certo.

DATORE DI LAVORO: Di che tipo di ufficio si trattava?

VIRGIL: Rettangolare.

DATORE DI LAVORO: Ha per caso qualche esperienza nell’uso di un computer elettronico ultimo tipo?

VIRGIL: Sì l’ho usato.

DATORE DI LAVORO: In che ditta?

VIRGIL: Mia zia ne ha uno.

DATORE DI LAVORO: Sua zia di che si occupa?

VIRGIL: Io non me lo ricordo.

DATORE DI LAVORO: Ha detto di aver lavorato in un ufficio. Si occupava di produzione o di servizi?

VIRGIL: Produzione.

DATORE DI LAVORO: Si trattava forse di prodotti industriali?

VIRGIL: No mi spiace, è del tutto fuori strada.

DATORE DI LAVORO: Si trattava di prodotti agricoli?

VIRGIL: No, siamo lontani purtroppo. E il tempo concesso è ormai scaduto. Non è riuscito ad indovinare quale era la mia occupazione, ed è solo per compiacerla che le dirò che cosa facevo. Facevo scarpe da scale mobili per la gente che si era stufata di portare le scarpe da ascensore.

DATORE DI LAVORO: Eheh.

VIRGIL: Siccome non ha indovinato la mia occupazione, le resta solo il gettone di presenza: 10 dollari e molte grazie, andrà meglio la prossima volta. Lei è un buon giocatore.


Marco

lunedì 6 giugno 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Down by law"

Alcuni mesi fa (era l’11 Marzo) avevamo già parlato di Down by law nella rubrica Monologhi. Avevamo proposto la scena in cui Bob (Roberto Benigni) recita un monologo cucinando una lepre da lui catturata non si sa bene come, dopo che i compagni di fuga Jack e Zack si erano allontanati a causa di un litigio.

Qui invece troviamo i tre amici ancora rinchiusi nella Orleans Parish Prison, intenti a giocare a poker in maniera tutt'altro che seria. E' una sequenza esilarante, e forse tra le più famose del cinema di Jim Jarmusch. Godetevela.


BOB: Yes.

ZACK: Watch out for Bob, maybe cheats.

JACK: Ahaha.

ZACK: Ahaha.

BOB: This is no joke, look where I am.

JACK: Ahahah.

ZACK: Ahahahh.

BOB: Ahahahah? Is no funny.

JACK: Two pairs.

BOB: What?

JACK: Two pairs. What you got?

BOB: Nothing.

JACK: Of course.

ZACK: Nothing.

JACK: Aaaaaaahhh!

BOB: What is aaaaaahhh?

JACK: Screaming.

BOB: Screaming? Never heard, screaming… screaming, screaming… ah screaming, screaming, one moment, I have screaming… screaming, eccolo qua: I scream, you scream, we all scream for ice cream. No, no aspetta. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream.

JACK: Yeah!

BOB: You understand that? I scream, you scream, we all scream for ice cream.

BOB e JACK (insieme): I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream.

BOB, JACK e ZACK (insieme): I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream. I scream, you scream, we all scream for ice cream…

Marco

martedì 31 maggio 2011

Monologhi: Tommy Lee Jones a.k.a. lo sceriffo Ed Tom Bell

Ancora una scena tratta dai Coen. Lo sappiamo, siamo ripetitivi, è che ci piacciono un sacco i film dei fratelli di Minneapolis.

Questa volta vi segnaliamo un monologo preso da Non è un paese per vecchi, opera vincitrice del premio Oscar nel 2008 come miglior film. La storia, ambientata nel sud del Texas nei primi anni Ottanta, è tratta dall’omonimo romanzo di Cormac McCharty, e vede come protagonisti Tommy Lee Jones, Anton Chigurth e Llewelyn Moss.

Il monologo in questione è la scena di apertura del film, in cui Ed Tom Bell tira le somme sulla sua vita da sceriffo nella sperduta contea texana.


A venticinque anni ero già lo sceriffo di questa contea. Difficile a credersi. Mio nonno faceva lo sceriffo, e anche mio padre. Io e lui siamo stati sceriffi contemporaneamente, lui a Plano e io qui. Credo che ne andasse fiero. Io ne andavo fiero, eccome. Ai vecchi tempi c’erano sceriffi che non giravano neanche armati. Molta gente stenta a crederci, Jim Scarbon non portava mai la pistola, e neanche Geston boy, quello della contea di Comanche. Mi è sempre piaciuto sentir parlare di quelli dei vecchi tempi, non ne ho mai perso l’occasione. Uno non può fare a meno di paragonarsi a loro, di chiedersi cosa avrebbero fatto loro al giorno d’oggi. C’è un ragazzo che ho mandato sulla sedia elettrica qui a Hadzville qualche anno fa, su mio arresto e mia testimonianza. Aveva ammazzato una ragazzina di quattordici anni. I giornali scrissero che era un crimine passionale, ma lui mi disse che la passione non c’entrava niente, che da quanto si ricordava aveva sempre avuto in mente di ammazzare qualcuno, e se non fosse entrato in galera l’avrebbe rifatto. Sapeva che sarebbe andato all’inferno, e da lì a un quarto d’ora ci sarebbe andato. Io non so cosa pensare, non lo so proprio. Con la criminalità di oggi è difficile capirci qualcosa. Non è che mi faccia paura, l’ho sempre saputo che uno dev’essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro. Ma non ho intenzione di mettere la mia posta sul tavolo, di uscire per andare incontro a qualcosa che… non capisco. Significherebbe mettere a rischio la propria anima. Dire ok, faccio parte di questo mondo.

Marco


venerdì 27 maggio 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "La ricotta"

Pier Paolo Pasolini nel 1963 gira La ricotta, un mediometraggio che racconta la messa in scena in chiave parodistica di un film sulla passione di Cristo. L’opera, considerata dissacrante dalle autorità religiose dell’epoca, è costata al regista l’accusa di vilipendio alla religione cristiana per la sua carica polemica nei confronti della sfera del sacro.

Il film narra la storia di Stracci, un borgataro chiamato a vestire i panni di un ladrone che sarà crocifisso accanto a Gesù; una comparsa che dirà solo una battuta. Non riuscirà a portare a termine il suo compito: morirà un attimo prima di pronunciare quelle parole tra la quasi indifferenza dei presenti, perché stremato dall’abbuffata di ricotta fatta tra una pausa e l’altra delle riprese.

La scena riportata vede come protagonisti il direttore del film (interpretato da Orson Welles) e un giornalista che, approfittando di un momento di pausa del set rivolge al regista alcune domande.


GIORNALISTA: Permette una parola? Scusi tanto, forse disturbo, sono del Paese Sera.

REGISTA: Dica, dica.

GIORNALISTA: Permette, vorrei da lei una piccola intervista.

REGISTA: Ma non più di quattro domande.

GIORNALISTA: Grazie. La prima domanda sarebbe: che cosa vuole esprimere con la sua nuova opera?

REGISTA: Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.

GIORNALISTA: …cattolicesimo. E che cosa ne pensa della società italiana?

REGISTA: Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.

GIORNALISTA: Ah, e che ne pensa della morte?

REGISTA: Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.

GIORNALISTA: Quarta ed ultima domanda: qual è la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini?

REGISTA: Egli danza. Egli danza.

GIORNALISTA: Ah, grazie. Arrivederla.

REGISTA: Ehi! “Io sono una forza del passato”. E’ una poesia. Nella prima parte il poeta ha descritto certi ruderi antichi di cui nessuno più capisce stile e storia, e certe orrende costruzioni moderne che invece tutti capiscono. Poi attacca giusto così: “Io sono una forza del passato, solo nella tradizione, è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi dimenticati sugli Appennini e sulle Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro sulla Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone, o guardo i crepuscoli le mattine su Roma, sulla Ciociarìa, sul mondo come i primi atti del dopo storia cui io assisto per privilegio d’anagrafe dall’orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno, a cercare fratelli che non sono più.” Ha capito qualcosa?

GIORNALISTA: Beh ho capito molto… giro per la Toscolana…

REGISTA: Scriva, scriva quello che le dico. Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio. E’ così?

GIORNALISTA: Beh sì.

REGISTA: Ma lei non sa cos’è un uomo medio? E’ un mostro. Un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista.

GIORNALISTA: Ehehem.

REGISTA: E’ malato di cuore lei?

GIORNALISTA: No, no, facendo le corna.

REGISTA: Peccato, perché se mi crepava qui davanti sarebbe stato un buon elemento per il lancio del film. Tanto lei non esiste. Addio.

Marco


lunedì 23 maggio 2011

Film della settimana: Festen


Di Thomas Vinterberg

Con Ulrich Thomsen, Henning Moritzen, Thomas Bo Larsen

Helge Klingenfeldt, un ricco signore danese, raduna la famiglia al completo per festeggiare il suo sessantesimo compleanno. Il luogo scelto per l’evento è una lussuosa villa antica dispersa nella campagna a nord di Copenaghen. Tra le decine di ospiti illustri la narrazione segue principalmente i movimenti di Christian, il primogenito, un uomo alquanto imprevedibile. Sarà lui, a metà film, a rovinare irrimediabilmente l’idillio familiare confessando le nefandezze e gli abusi compiuti dal padre ai danni di Linda, la sorella minore morta suicida l’anno prima. Apriti cielo. E il cielo si apre per davvero sulla famiglia Klingenfeldt.

Festen è famoso nella storia del cinema per essere il primo film del collettivo Dogma 95, un movimento cinematografico danese fondato da Lars Von Trier e Thomas Vinterberg nella primavera del 1995. Nel manifesto firmato a quattro mani i due registi dichiarano che il movimento rappresenta un “voto di castità” nei confronti di un cinema “cosmetizzato fino alla morte”, sempre più schiavo delle nuove tecnologie e degli effetti speciali a scapito della storia da raccontare. Stilano così dieci regole fondamentali alle quali devono aderire tutte le persone che si propongono di partecipare al movimento: 1) Le riprese vanno girate sulle location. Non devono essere portate scenografie ed oggetti di scena. 2) Il suono non deve mai essere prodotto a parte dalle immagini e viceversa. 3) La macchina da presa deve essere portata a mano. Ogni movimento o immobilità ottenibile con le riprese a mano è permesso. 4) l film deve essere a colori. Luci speciali non sono permesse. 5) Lavori ottici e filtri non sono permessi. 6) Il film non deve contenere azione superficiale. 7) L’alienazione temporale e geografica non è permessa. 8) Non sono accettabili film di genere. 9) L'opera finale va trasferita su pellicola Academy 35mm, con il formato 4:3, non widescreen. 10) Il regista non deve essere accreditato. In conclusione ai dieci comandamenti Von Trier e Vinterberg tengono a precisare un ulteriore fondamentale pensiero: “Inoltre giuro come regista di astenermi dal gusto personale! Non sono più un artista. Giuro di astenermi dal creare un'"opera", perché considero l'istante più importante del complesso. Il mio obiettivo supremo è di trarre fuori la verità dai miei personaggi e dalle mie ambientazioni. Io giuro di far ciò con tutti i mezzi possibili ed al costo di ogni buon gusto ed ogni considerazione estetica. Così io esprimo il mio VOTO DI CASTITÀ."

Festen è il numero 544 della videoteca di Dedalo.

Marco

venerdì 20 maggio 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Il buono, il brutto, il cattivo"

Sullo sfondo della guerra di secessione americana, uomini sporchi e avidi di denaro si aggirano nei territori assolati del west. Sembrano figure mitiche, rese celebri dai soprannomi loro affibbiati: Biondo, Tuco, Sentenza. Unico obiettivo nella vita: sopravvivere, e possibilmente avere la pancia piena prima di andare a dormire.

Il buono, il brutto, il cattivo è il terzo capitolo della celeberrima trilogia del dollaro, ed è una pietra miliare dello spaghetti western, sottogenere cinematografico inaugurato da Sergio Leone nel 1964. E' un film epico, scolpito per sempre nella storia del cinema. Clint Eastwood, Eli Wallach, Lee Van Cleef sono attori che non hanno bisogno di presentazioni.

Nella sequenza vediamo il Brutto cadere nelle mani del Cattivo. Sentenza incastra il Tuco.


SENTENZA: Avanti, vieni avanti Tuco. Non fare complimenti. Quanto tempo eh? Hai fame? Siediti, mangia.

TUCO: Ahahahahahh, lo sapevo che… nel momento che t’ho visto mi sono detto: “guarda quel porco di Sentenza come si è piazzato bene. E lui non se li scorda gli amici.”

SENTENZA: Certo che non li scordo gli amici, Tuco.

TUCO: Bravo!

SENTENZA: Mi fa piacere di vederli ogni tanto.

TUCO: Giusto!

SENTENZA: Specialmente quando vengono da così lontano, e hanno tante cose da raccontarti. E tu ne hai di cose da raccontarmi eh?

TUCO: Eh!

SENTENZA: Tu sei stato preso a Fort Greg.

TUCO: Mh mh.

SENTENZA: Quindi se eri con Sibley vuol dire che venivi da Santa Fé.

TUCO: Mh mh.

SENTENZA: Brutto il deserto eh?

TUCO: Tanto brutto, specie se non hai niente da bere.

SENTENZA: Com’è che ti chiami Bill Carson adesso?

TUCO: Beh, è un nome buono come un altro, no? Il mio è meglio non portarlo in giro. E del resto anche tu, mica ti fai chiamare Sentenza. Ahah, il sergente Sentenza, ahahahah. Sarebbe bello.

SENTENZA: Dimmi Tuco, ti piace la musica?

TUCO: La musica? Sì che mi piace, fa bene alla digestione.

SENTENZA: E così Bill Carson è un nome inventato.

TUCO: Mh.

SENTENZA: Allora anche questa è inventata. C’è scritto Bill Carson dentro. Un po’ di tabacco? Coraggio, serviti pure.

TUCO: Ahhh!

Marco


giovedì 19 maggio 2011

Monologhi: Woody Allen a.k.a. Sandy Bates

Di monologhi Woody Allen è maestro indiscusso, e forse il più prolifico. Da Prendi i soldi e scappa a Basta che funzioni il genietto di New York si è reso celebre nel creare personaggi strampalati, eccentrici e logorroici, che ricorrono a estenuanti monologhi per esprimere il loro pensiero sulla vita, sull’amore e sulla morte.

In Stardust Memories, film del 1980, Woody Allen è Sandy Bates, un regista che sta attraversando un lungo periodo di crisi creativa ed esistenziale. E’ follemente innamorato di Dorrie, la sua musa, una figura sfuggente e instabile, che lo destabilizza non poco.

Il monologo della scena è dedicato proprio a lei, e racconta un breve momento di felicità vissuto inaspettatamente da Sandy una domenica mattina.


Cercavo qualcosa che desse un senso alla mia vita e un ricordo attraversò la mia mente. Era una di quelle splendide giornate di primavera, era domenica, sentivi che l’estate era in arrivo. Ricordo che quella mattina con Dorrie eravamo andati a fare un giro nel parco. Tornammo a casa, ce ne stavamo seduti qua e là... e io misi un disco di Louis Armstrong, una musica che amo, ci sono cresciuto insieme, era molto carina. E mi successe di alzare lo sguardo e vidi Dorrie lì, e mi ricordo che pensai dentro di me che era magnifica e quanto l’amavo. E non lo so, credo che fosse tutto l’insieme, il suono di quella musica, e la brezza, e come vedevo bella Dorrie, e per un breve momento tutto sembrò fondersi perfettamente e io mi sentii felice, quasi indistruttibile in un certo senso. E’ buffo, quel semplice e breve momento di contatto mi commosse in un modo così profondo.

Marco


lunedì 16 maggio 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "The Hours"

Oggi la rubrica Dialoghi propone una scena tratta da un film famosissimo, The Hours, scritto da David Hare e diretto da Stephen Daldry nel 2002. Il film racconta le vite di tre donne vissute negli Stati Uniti in tre diversi momenti del Novecento: gli anni Venti, gli anni Cinquanta e la fine degli anni Novanta.

Il filo rosso che unisce le storie di Virginia, Laura e Clarissa (interpretate da Nicole Kidman, Julianne Moore e Meryl Streep) è un libro scritto da Virginia Woolf nel 1925, Mrs Dalloway.

Il dialogo che segue appartiene alla storia di Laura Brown.


KITTY: C’è nessuno? C’è nessuno? Laura?

LAURA: Ciao Kitty.

KITTY: Ciao, ti disturbo?

LAURA: Assolutamente no, vieni.

KITTY: Ti senti bene?

LAURA: Ma certo.

KITTY: Ciao Richie!

LAURA: Siediti, sto facendo il caffè. Ne vuoi una tazza?

KITTY: Perché no. Oh guarda, hai fatto una torta?

LAURA: Lo so, è venuta male. Speravo che venisse bene. Io speravo che venisse meglio di così.

KITTY: Laura non capisco cosa ci trovi di difficile. Chiunque è capace di fare una torta. Tutti le fanno, è una cosa facilissima. Scommetto che non hai nemmeno unto il tegame.

LAURA: L’ho unto il tegame.

KITTY: D’accordo. Comunque, tu hai altre doti. E ben ti ama tanto che non si accorgerà neanche, qualsiasi cosa tu faccia dirà che è meraviglioso. Beh è vero scusa.

LAURA: Rachel ha un compleanno?

KITTY: Certo che ce l’ha!

LAURA: E quando?

KITTY: A settembre. Andiamo al Counrty Club, andiamo sempre al Country Club. Beviamo Martini e passiamo la giornata con cinquanta persone.

LAURA: Hai tanti amici.

KITTY: Sì.

LAURA: Avete tutti e due tanti amici. Vi riesce bene. Come sta Ray? Non lo vedo da un po’.

KITTY: Sta bene. Che ragazzo incredibile.

LAURA: Lo puoi dire forte. Sono tornati dalla guerra. Se lo sono meritato., dopo tutto quello che hanno passato.

KITTY: Cosa hanno meritato?

LAURA: Non lo so, noi forse. Tutto questo.

KITTY: Ah, stai leggendo un libro.

LAURA: Sì.

KITTY: E di che cosa parla?

LAURA: Parla di una donna incredibilmente… un’ospite perfetta e incredibilmente sicura di quello che fa. Deve dare una festa, e forse proprio perché è così sicura tutti credono che sta bene, invece non è vero. Così…

KITTY: Beh,

LAURA: Kitty che c’è, qualcosa non va?

KITTY: Io… devo andare in ospedale per un paio di giorni.

LAURA: Kitty.

KITTY: Si sai, c’è una specie di escrescenza nel mio utero e devono entrare a dare un’occhiata.

LAURA: Quando?

KITTY: Oggi pomeriggio. Daresti da mangiare al cane?

LAURA: Ma certo. Sei venuta solo per chiedermi del cane? Cos’ha detto il dottore con esattezza?

KITTY: E’ probabile che fosse questo il problema per rimanere incinta. Io sono molto… veramente felice con Ray. E ora l’idea che ci fosse una ragione per cui non riuscivo ad avere figli… sei fortunata Laura, una non si sente realizzata come donna se non è madre. Nella vita, per ironia, ho sempre saputo fare tutto. Ovvero, sono riuscita a fare tutto sul serio, tranne l’unica cosa che volevo. Tutto qui.

LAURA: Se non altro ora potranno intervenire.

KITTY: Certo, è quello che vogliono fare.

LAURA: Certo.

KITTY: Non sono preoccupata. A che serve preoccuparsi.

LAURA: No, non controlli niente tu.

KITTY: Eh già, il controllo ce l’ha un medico mai nemmeno visto in vita mia. Un chirurgo che probabilmente beve più Martini di Ray.

LAURA: Kitty…

KITTY: E poi sono preoccupata per Ray.

LAURA: Kitty, vieni qui.

KITTY: Io sto bene, davvero.

LAURA: Lo so, lo so che stai bene.

KITTY: Semmai sono preoccupata per Ray che una cosa così lui non ce la fa…

LAURA: Lascialo perdere, lascialo perdere.

KITTY: Sei dolce. Sai come si fa, vero? Mezza scatoletta la sera e controlli l’acqua ogni tanto. Ray ci penserà al mattino.

LAURA: Kitty, ti è dispiaciuto?

KITTY: Cosa? Non mi è dispiaciuto cosa?

LAURA: Vuoi che ti accompagni?

KITTY: Sai, forse mi sento meglio se vado da sola.

LAURA: Kitty andrà tutto bene vedrai.

KITTY: E’ chiaro. Ciao.

Marco