mercoledì 30 novembre 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Coffee and Cigarettes"

Coffee and Cigarettes è un progetto cinematografico di Jim Jarmusch formato da 11 cortometraggi in bianco e nero realizzati a partire dal 1986. Sono 11 varianti di una medesima situazione che vede come elementi costanti un tavolino di un bar, delle tazze di caffè bollente e tante, tantissime sigarette fumate con gusto da persone piuttosto singolari: amici, fratelli, improbabili cugini o perfetti sconosciuti. Tra una boccata di sigaretta e un sorso di nero caffè americano i personaggi parlano di cose effimere e inutili, inventandosi spesso frottole di sana pianta che fanno morire dal ridere. Come la poco credibile seconda professione di Tom Waits, famoso musicista durante il giorno e sconosciuto medico chirurgo la notte che salva la vita a gente quasi morente con il tappino di una biro. E via così.

Il dialogo che vi consigliamo oggi è preso dal terzo capitolo della serie, intitolato Somewhere in California, e vede come protagonisti i vecchi amici Iggy Pop e Tom Waits.


TOM: Sono tue le sigarette?

IGGY: No, erano già lì quando mi sono seduto.

TOM: Ah.

IGGY: Tu non fumi no?

TOM: No… no, ho smesso.

IGGY: Grazie al cielo neanch’io.

TOM: Un taglio netto.

IGGY: Basta veleno! Ormai sono 25 anni… ah, mio dio!

TOM: Finito.

IGGY: Sono pieno di energie.

TOM: Oh! Io sono rinato.

IGGY: E poi da quando ho smesso… insomma tutto è… tutto è più… ssshhh.

TOM: Sì, sì è tutto più a fuoco, pazzesco. E’ vero.

IGGY: E’ vero?

TOM: Per me è uguale.

IGGY: Che pena mi fanno quei coglioni che si affumicano il cervello e i bronchi. Non hanno forza di volontà.

TOM: Sempre col ciuccio! Sai cosa? Il bello è che quando si smette è che… è che avendo smesso, posso anche fumarne una. Perché ho smesso.

IGGY: Eh…

TOM: Capisci, è un fatto ornamentale, non è mica… non l’aspiro nemmeno.

IGGY: Mh…

TOM: Perché non mi tieni compagnia?

IGGY: Perché no? Sì, tanto ho smesso anch’io.

TOM: Certo! L’essenziale è smettere poi una te la puoi fumare, no?

IGGY: Adesso posso no? Come no. Ok.

TOM: Ecco.

IGGY: Oh! Alla faccia… salute eh?

TOM: Sì! Adesso hai capito cosa vuol dire smettere?

IGGY: Ah… caffè e sigarette, questo sì che è un matrimonio.

TOM: Non si batte.

Marco

lunedì 28 novembre 2011

Monologhi: Lionel Abelanski a.k.a. Shlomo

Nel 1998 dalla Romania arriva un film di notevole interesse, Train de vie, una rilettura surreale della tragedia della Shoa. Il regista e sceneggiatore del film è Radu Mihăileanu, autore del recente Le Concert. La trama è tanto semplice quanto geniale: gli abitanti di un piccolo villaggio ebraico dell’Europa dell’Est, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, decidono di creare un finto treno di deportazione per fuggire dall’Europa e raggiungere la Palestina, futura terra promessa. La buffa idea che salverà la vita a tutti gli abitanti dello shtetl è di Shlomo, il pazzo del villaggio. Solo a pochi secondi dalla fine, però, si scopre che tutta la storia alla quale abbiamo assistito è il frutto bizzarro di una mente fantasiosa. Vediamo il bel faccione di Shlomo dietro ad un filo spinato che, sorridente, ci dice: “Questa storia è vera… o quasi”. E giù pianti.

Il monologo tratto dal film è proprio dello stesso Shlomo. Rivolgendosi al rabbino della comunità, il nostro esprime alcune ragionevoli perplessità sull’esistenza di Dio, suscitando non poco sconcerto tra i compagni di viaggio.


“Dio creò l’uomo a sua immagine”… è bella. Gloime ha immagine di Dio. Ma chi l’ha scritta questa frase nella Torah? L’uomo, non Dio. L’uomo. L’ha scritta senza modestia paragonandosi a Dio. Dio forse ha creato l’uomo, ma l’uomo… l’uomo, il figlio di Dio, ha creato Dio solo per inventare sé stesso. L’uomo ha scritto la Bibbia per paura di essere dimenticato, infischiandosene di Dio. Rabbino, non amiamo e non preghiamo Dio, ma lo supplichiamo, lo supplichiamo perché ci aiuti a tirare avanti. Cosa ci importa di Dio per come è? Ci preoccupiamo solo di noi stessi. Allora la questione non è solo sapere se Dio esiste, ma se noi esistiamo.

Marco