giovedì 28 aprile 2011

Film della settimana: Mister Hula Hoop


Di Joel e Ethan Coen
Con Tim Robbins, Paul Newman, Jennifer Jason Leight

Mister Hola Hoop comincia con un fatto spiazzante, che lascia a bocca aperta sia i personaggi della storia sia gli spettatori in sala. Durante il Consiglio di Amministrazione della Hudsucker, gigantesca azienda americana con sede a New York, il presidente e fondatore Waring Hudsucker compie un gesto a dir poco spettacolare: con aria serena e al tempo stesso beffarda, il personaggio interpretato da Charles Durning si alza dalla sedia, spegne il grosso sigaro che tiene tra le mani, sale sul tavolo della riunione, prende la rincorsa e si getta dalla finestra del 45° piano dell’edificio.
Gli avidi membri del Consiglio, temendo che il pacchetto azionario dell’azienda venga messo in vendita, elaborano una strategia per far crollare i titoli al più presto, per poterli poi ricomprare ad un prezzo molto basso, e così mantenere saldo il loro potere. Si mettono alla ricerca di un idiota qualunque da nominare come nuovo vertice dell’azienda. O meglio, di un “perfetto imbecille”, come dice Sidney J. Mussburger, il burattinaio che tiene i fili dell’organizzazione, uno straordinario Paul Newman.
Norville Barnes, giovane e ingenuo porta posta, ultimo arrivato alla Hudsucker, sembra essere il pollo adatto da spennare. E’ un ragazzo neolaureato arrivato da pochi giorni a New York da Muncie, piccola cittadina dell’Indiana, è alla sua prima esperienza lavorativa, e, ovviamente, è sottopagato, come un classico stagista dei giorni nostri.
I vertici dell’azienda, però, non avevano fatto i conti con la capacità inventiva di Norville. Sarà sua l’idea di introdurre nel mercato statunitense il gioco che diverrà famoso in tutto il mondo alla fine degli anni Cinquanta, trasformandosi ben presto in un’autentica moda: il divertentissimo hula hoop.
La rivincita degli stagisti targata Joel e Ethan Coen.

Mister Hula Hoop è forse meno conosciuto di Fargo, Il grande Lebowski, o di Non è un paese per vecchi, ma non ha nulla da invidiare ai suoi fratelli maggiori. Secondo il blog di Dedalo è uno dei film più riusciti dei due geni di Minneapolis. E’ il numero 263 della videoteca di Dedalo.


Marco

martedì 26 aprile 2011

Monologhi: Joan Fontaine a.k.a. Mrs. de Winter

Dopo la lunga e rilassante pausa pasquale, il blog di Dedalo torna alla carica con un monologo tratto da Rebecca la prima moglie, un bellissimo film che oggi compie settantuno anni. E’ il primo lungometraggio di Alfred Hitchcock ad essersi aggiudicato il Premio Oscar come miglior film dell’anno, nel lontanissimo 1940. Quasi preistoria ormai.

Laurence Olivier è Giorgio Fortebraccio Massimiliano “Massimo” de Winter, un ricco signore rimasto vedovo della prima moglie Rebecca, scomparsa in circostanze misteriose. Il lord inglese conosce e sposa una giovane donna, interpretata da Joan Fontaine, e vive con lei in una lussuosa villa di Montecarlo. La seconda signora de Winter vive ossessionata dal ricordo di Rebecca, e diventa gelosa di tutto ciò che la riguarda. E la notte, fa dei sogni strani.

Il monologo qui proposto è il racconto di un sogno della donna, ed è anche l'incipit del film.

La scorsa notte ho sognato di essere tornata a Manderley, mi sembrava di essere ferma al cancello che chiude il viale, e di non poter entrare da chissà quanto tempo perché il passaggio mi era stato sbarrato. Poi, come accade a chi sogna, ad un tratto mi sentii in possesso di poteri sovrannaturali, e attraversai come un fantasma le sbarre che mi erano davanti. Il viale si snodava di fronte a me, con le sue curve tortuose, come una volta. Ma a mano a mano che andavo avanti mi accorsi che c’era qualcosa di mutato, la natura aveva ripreso quello che le apparteneva, e a poco a poco aveva invaso il viale con lunghe dita tenaci. Sempre più addentro si insinuava il misero sentiero che una volta era stato il nostro viale. Finalmente arrivai a Manderley. A Manderley, segreto e silenzioso. Il tempo non era riuscito a sfigurare la perfetta simmetria delle sue mura. Il chiaro di luna può giocare strani scherzi alla fantasia. Mi sembrò, improvvisamente, che giungesse luce dalle finestre. Poi, portata dal vento, una nuvola coprì la luna, e sembrò una mano scura davanti a un volto. L’illusione svanì. Quelle mura mi parvero simili a una conchiglia vuota in cui non risuonassero più echi di vita passata. Noi non possiamo tornare a Manderley, ormai è più che certo. Ma talvolta nei sogni, io rivivo quegli strani giorni della mia vita, che per me cominciarono sulle rive del Mediterraneo.

Marco

mercoledì 13 aprile 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "Rosencrantz e Guildenstern sono morti"

La seconda proposta della rubrica Dialoghi è presa da Rosencrantz e Guildenstern sono morti, film del 1990 del regista e autore teatrale Tom Stoppard, con Tim Roth, Gary Oldman e Richard Dreyfuss.

Nella tragedia più famosa di Shakespeare, Rosencrantz e Guildenstern sono gli amici d’infanzia di Amleto, incaricati dal re Claudio di indagare se il giovane principe di Danimarca abbia realmente perso la ragione dopo l’omicidio del padre, o stia semplicemente fingendo. Il film di Tom Stoppard indaga ciò che nella tragedia resta fuori campo: racconta il viaggio di Rosencrantz e Guildenstern verso il castello di Elsinore.

La scena in questione vede i due amici allenarsi al gioco delle domande, in vista dell’impresa tutt’altro che semplice di capire la vera natura dei comportamenti di Amleto.


ROSENCRANTZ: Ti va una partita?

GUILDENSTERN: Siamo spettatori.

ROSENCRANTZ: Facciamo il gioco delle domande?

GUILDENSTERN: E come si gioca?

ROSENCRANTZ: E’ semplice, si fanno delle domande.

GUILDENSTERN: Affermazione! Uno a zero.

ROSENCRANTZ: Non vale.

GUILDENSTERN: Perché?

ROSENCRANTZ: Non avevo ancora cominciato.

GUILDENSTERN: Affermazione, due a zero.

ROSENCRANTZ: Ma che conti tutto?

GUILDENSTERN: Come?

ROSENCRANTZ: Conti tutto?

GUILDENSTERN: Fallo! Niente ripetizioni, tre a zero. Partita per me.

ROSENCRANTZ: Io non gioco se continui in questo modo.

GUILDENSTERN: A chi il servizio?

ROSENCRANTZ: Mmm…

GUILDENSTERN: Esitazione. Zero a uno.

ROSENCRANTZ: A chi tocca?

GUILDENSTERN: Perché?

ROSENCRANTZ: Perché no?

GUILDENSTERN: Perché cosa?

ROSENCRANTZ: Fallo. Niente sinonimi, uno pari.

GUILDENSTERN: In nome di Dio ma che succede?

ROSENCRANTZ: Fallo. Domanda retorica. Due a uno.

GUILDENSTERN: A che equivale tutto questo?

ROSENCRANTZ: Non lo indovini?

GUILDENSTERN: Stai parlando con me?

ROSENCRANTZ: C’è qualcun altro?

GUILDENSTERN: Chi?

ROSENCRANTZ: E io che ne so?

GUILDENSTERN: E lo chiedi a me?

ROSENCRANTZ: Ma fai sul serio?

GUILDENSTERN: E’ una domanda retorica?

ROSENCRANTZ: No.

GUILDENSTERN: Negazione, due pari. Punto e partita.

ROSENCRANTZ: Ma che ti prende oggi?

GUILDENSTERN: Quando?

ROSENCRANTZ: Cosa?

GUILDENSTERN: Sei sordo?

ROSENCRANTZ: Sono morto?

GUILDENSTERN: Si o no?

ROSENCRANTZ: C’è scelta?

GUILDENSTERN: C’è Dio?

ROSENCRANTZ: Fallo. No no, niente teologia. Tre a due. Una partita a testa.

GUILDENSTERN: Come ti chiami?

ROSENCRANTZ: E tu come ti chiami?

GUILDENSTERN: Prima tu.

ROSENCRANTZ: Affermazione. Uno a zero.

GUILDENSTERN: Come ti chiami quando sei a casa?

ROSENCRANTZ: Tu come ti chiami?

GUILDENSTERN: Quando sono a casa?

ROSENCRANTZ: Perché, è diverso a casa?

GUILDENSTERN: Quale casa?

ROSENCRANTZ: Non ce l’hai?

GUILDENSTERN: Perché me lo chiedi?

ROSENCRANTZ: Dove vuoi arrivare?

GUILDENSTERN: Come ti chiami?

ROSENCRANTZ: Ah, ripetizione. Due a zero. Punto partita.

GUILDENSTERN: Ma chi credi di essere?

ROSENCRANTZ: Domanda retorica. Partita e incontro per me!


Qui di seguito trovate il dialogo in lingua originale e quello doppiato in italiano.

Marco


martedì 12 aprile 2011

Film della settimana: Stalker


Di Andreij Tarkovskij

Con Alexandr Kajdanovskij, Anatolij Solonicyn, Nikolaj Grin’ko

La parola stalker, in inglese, identifica una persona che si introduce di nascosto, clandestinamente, in un luogo privato o segreto, in cui nessuno potrebbe mai mettere piede. Nel film di Tarkovskij, lo stalker è un uomo che si addentra in un terreno protetto dall’esercito e dichiarato inaccessibile dallo stato, una landa nei dintorni di Chernobyl. Pare che poco tempo prima un meteorite si fosse abbattuto in quel luogo, ora soprannominato la Zona, dando vita a fenomeni sinistri, al limite del paranormale (per inciso: il film è del 1979, sette anni prima del disastro alla centrale nucleare in Ucraina. Sarà pura coincidenza?).

Al centro della Zona si dice che esista una stanza in grado di esaudire i desideri della persona che vi mette piede. O meglio, non proprio tutti i desideri: solo quelli più profondi, più intimi, quelli di cui spesso non si ha neppure coscienza. Proprio per questo motivo è un luogo tanto affascinante quanto pericoloso, e che può riservare brutte sorprese a chi vi entra.

Il film si apre con la storia di Porcospino, una persona che ha avuto il coraggio di varcare la soglia della stanza perché mosso dalla volontà di riportare in vita il fratello scomparso. Ne uscirà ricco, e, disperato, si toglierà la vita. Questa storia servirà da monito ai due uomini che vogliono raggiungere la misteriosa stanza scortati dallo stalker, il cui viaggio si articola lungo gran parte dello sviluppo narrativo del film.

Nel mezzo del cammino, quando uno dei due chiede alla guida cosa sia esattamente la Zona in cui si stanno addentrando, e quali pericoli comporta, riceve questa risposta dallo stalker: “La Zona è un sistema molto complesso di trabocchetti, e sono tutti mortali. Non so cosa succeda qui in assenza dell’uomo, ma non appena arriva qualcuno tutto si comincia a muovere. Le vecchie trappole scompaiono, ne appaiono di nuove. Posti prima sicuri diventano impraticabili, e il cammino si fa ora semplice e facile, ora intricato fino all’inverosimile. E’ la Zona. Forse a certi potrà sembrare capricciosa, ma in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo. Non vi nascondo che ci sono stati casi in cui la gente è dovuta tornare indietro a mani vuote. Alcuni sono anche morti, proprio sulla porta della stanza, ma quello che succede non dipende dalla Zona, dipende da noi.”

Stalker è il numero 531 della videoteca di Dedalo.

Marco

giovedì 7 aprile 2011

Dialoghi: sequenza tratta da "L'uomo senza passato"

Oltre a Film della settimana e a Monologhi, oggi il blog di Dedalo è felicissimo di presentare Dialoghi, la nuova rubrica che si propone di riunire le scene di film più interessanti reperibili in rete: sequenze dialogate, composte da due o al massimo tre persone. Come nel caso di Monologhi, possono servire come spunti di lavoro da proporre in classe per eventuali esercizi, o semplicemente per godersi la piacevole visione in santa pace, quando si ha un attimo di tempo libero. Saranno scene brevi, della durata massima di tre, forse quattro minuti.

Il primo capitolo della nuova rubrica è preso da L’uomo senza passato, film di Aki Kaurismäki del 2002, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 55° Festival di Cannes. Un uomo arriva a Helsinki in treno, di notte. Addormentatosi su una panchina nei pressi della stazione, viene preso a bastonate da tre balordi, e perde la memoria. Comincia così la sua nuova vita nei quartieri popolari della capitale finlandese.

La scena che vi proponiamo ha un forte stampo surreale: M, personaggio principale della storia, ha invitato Irma a cena a casa (più che una casa vera e propria, meglio dire un modesto container), per la prima volta. E’ follemente innamorato della donna, tuttavia non ha mai trovato il momento adatto per dichiarare apertamente il suo amore. La cena offre a M l’occasione opportuna per agire.


IRMA: Sicuro che non vuoi che ti aiuti?

M: Credo che sia già rovinata. Comunque ci siamo, eccola, è pronta.

M: Hannibal!

IRMA: Ti capita spesso di cucinare?

M: Non tanto spesso.

IRMA: I piselli erano buoni.

M: Sono stato sulla luna.

IRMA: Davvero? E come l’hai trovata?

M: Molto tranquilla.

IRMA: Hai incontrato nessuno?

M: Veramente no, sai era domenica.

IRMA: E’ per questo che sei tornato?

M: Si, si. E anche per altri motivi.

IRMA: Stai fingendo o veramente non ricordi più niente?

M: Qualcosa me lo ricordo. Un capannone industriale, a metà di un lungo rettilineo su un’autostrada. Facevo qualcosa. Un calore ardente, una fiamma. Magari è un sogno, ho ricominciato a farne.

IRMA: Questo è un buon segno.

M: Forse. L’idea di una tomba senza nome…

M: Ci sediamo sul divano ad ascoltare un po’ di musica?

Marco


martedì 5 aprile 2011

Monologhi: Pietro Tordi a.k.a. l’avvocato De Manzi

La nuova proposta della rubrica Monologhi è tratta da una scena di Divorzio all’italiana, un film ormai datato ma pur sempre attuale (per diversi motivi, primo fra tutti il “problema” del matrimonio e le sue possibili, grottesche, soluzioni) di Pietro Germi, uscito in Italia nel lontano 1961, esattamente mezzo secolo fa.

L’interpretazione di Pietro Tordi nell’arringa dell’avvocato De Manzi è volutamente caricaturale e stereotipata. Nostro, chiaramente, è il compito di renderla più naturale ed espressiva possibile nel momento della performance. Buona arringa a tutti.


Signori della corte. Bocca baciata non perde ventura. Ma io vi dico, parafrasando un testo ben più alto e ben più sacro, riguardo a una donna con desiderio: ha già commesso peccato nel cuor suo. Perciò, mentre il treno trasportava Mariannina Terranova verso la sua tragica meta, mentre la trasportava inarrestabile come inarrestabile era il fato che la spingeva, lei, piccola e povera creatura del sud, avvolta nell’antico scialle scuro, simbolo del pudore delle nostre donne, le mani congiunte a torturarsi in grembo, quel grembo da Dio condannato, sacra condanna, ai beati tormenti della maternità, mentre il treno correva, così, come un incubo incessante, dove risuonava il mistico fragore delle ruote e degli stantuffi, e alle orecchie deliranti della povera Mariannina Terranova, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata… Ma l’onore, signori miei, l’onore, che cos’è l’onore? Terremo ancora per valida la definizione che di esso ne dà il Tommaseo, questo monumentale dizionario della lingua italiana, quando lo definisce come “il complesso degli attributi morali e civici che rendono un uomo rispettabile e rispettato nell’ambito della società in cui vive”, o lo butteremo noi nel ciarpame delle cose vecchie e inutili e sorpassate? Lettere, lettere vergate da anonime ma simboliche mani, lettere illeggibili, che offenderebbero la dignità di quest’aula, da citare tal’altre come questa, in una sola parola compendio la sorte dell’infelice Mariannina, cornuta, o come questa, che addirittura affida alla icasticità di un’immagine l’espressione del pensiero.

Marco


venerdì 1 aprile 2011

Film della settimana: Taxisti di notte


Di Jim Jarmusch

Con Winona Ryder, Roberto Benigni, Matti Pellonpää

Questa settimana vi segnaliamo un flop cinematografico pazzesco, un autentico fiasco che merita di essere visto. Secondo autorevoli critici di mezzo mondo Taxisti di notte è il film peggiore della carriera di Jim Jarmusch, quello in cui il regista è stato accusato di non aver più nulla da dire, eccezion fatta per i giapponesi. E non si capisce bene il perché, fatto sta che molto spesso i film di Jarmusch riscuotono un considerevole successo nella cultura nipponica. Prova ne è che dei tre milioni e mezzo di dollari spesi per la realizzazione del film, due milioni sono arrivati dalla JVC, la storica società di produzione di Tokyo entusiasta di qualsiasi cosa Jarmusch faccia, produca o scriva.

Taxisti di notte è un lungometraggio diviso in capitoli, cinque esilaranti situazioni che accadono in contemporanea, di notte, ambientate nell’abitacolo di un taxi di cinque diverse città: Los Angeles, New York, Parigi, Roma e Helsinki.

Il film ha avuto un percorso di realizzazione piuttosto singolare. Dopo il successo di Down By Law, Jarmusch scrive con l’amico Rudy Wurlitzer il soggetto di un film western dal titolo provvisorio Ghost Dog. Purtroppo il progetto viene presto abbandonato causa forti divergenze tra i due, e la grande delusione provata dal regista di fronte al film mancato, lo porta a scrivere un progetto completamente diverso in tempi record: in soli otto giorni Jarmusch scrive la sceneggiatura di Taxisti di notte, e per la prima volta porta la macchina da presa fuori dai confini dell’America.

Fa un viaggio in Europa, nelle città che per qualche ragione hanno segnato positivamente la sua vita. Torna a Parigi, in cui ha vissuto un anno quando era uno studentello, e faceva il facchino tra una galleria d’arte e l’altra per mantenersi gli studi. A Roma, città in cui è stato con Roberto Benigni per alcune settimane, e la notte si divertivano a percorrere in contromano i sensi unici del centro (cosa ripetuta nel film). E la fredda Helsinki di Aki Kaurismäki, vecchio amico e compagno di bevute, a cui dà carta bianca per la storia da raccontare.

Proprio l’ultimo capitolo finlandese di Taxisti di notte è la chicca da non perdere per nessuna ragione al mondo. Vale tutto il film.

Marco