venerdì 25 febbraio 2011

Film della settimana: Amleto si mette in affari


Di Aki Kaurismäki

Con Pirkka-Pekka Petelius, Esko Salminen, Kati Outinen

Amleto si mette in affari racconta le incredibili avventure di un giovane dal temperamento vivace quanto una lumaca e dal cuore caldo quanto un frigorifero. […] Non stupisce il fatto che Ofelia si metta a singhiozzare nel bagno. Ma non lasciatevi incantare dalla bellezza artistica di quest’opera: è questione di soldi, di vita o di morte.” Le parole di Aki Kaurismäki tratte dall’imperdibile Dialogo sul cinema, la vita, la vodka presentano a chiare lettere ciò che il film è nella sostanza, ossia una moderna e lucidissima interpretazione dell’opera più famosa di William Shakespeare, riletta attraverso la lente deformante del grottesco.

Il teatro delle vicende si sposta dalla Danimarca a Helsinki, e il celeberrimo castello di Elsinore, luogo centrale della tragedia, è sostituito da un’industria finlandese che produce paperelle di plastica. Anche ai personaggi che si muovono nella storia è riservato lo stesso trattamento straniente: se l’Ofelia di Shakespeare nutriva nei confronti di Amleto un amore puro e sconfinato, l’Ofelia di Kaurismäki è interessata all’uomo solo per meri motivi di calcolo economico. Lo stesso Amleto, se si tengono a mente le parole del regista sopra riportate, è tutt’altro che un giovane colto e dall’intelligenza raffinata: è piuttosto un babbeo scemo e capriccioso.

Così, pur rimanendo per molti aspetti fedele al testo originale, alla capacità di delineare nel profondo i tratti distintivi dell’essere umano in relazione a un determinato periodo storico, Kaurismäki se ne discosta apertamente nella forma e nello stile, riuscendo a costruire un ritratto sottile e per nulla scontato dei vizi (molti) e delle virtù (poche) della “dannata” borghesia capitalista che andava affermandosi in Finlandia negli anni Ottanta. Queste, infatti, le domande fondamentali poste dal film secondo lo stesso autore: “chi ha ucciso il direttore generale? I cantieri navali di Hyvinkää saranno abbandonati pur di ottenere il monopolio mondiale nella produzione di paperette di plastica? E dov’è il berretto dell’autista? […] Chi risulterà vincitore, chi pagherà il prezzo di questo classico dramma underground di serie B in bianco e nero? Nessuno lo sa.” Che il dilemma accompagni la vostra visione.

Questa settimana non potete perdervi Amleto si mette in affari, sarebbe pura follia. Lo trovate al numero 599 della videoteca.

Marco

venerdì 18 febbraio 2011

Film della settimana: The Sraight Story


Di David Lynch

Con Richard Farnsworth, Harry Dean Stanton, Sissy Spacek

The Straight Story si inserisce nel “filone narrativo” della cinematografia di David Lynch, inaugurato da The Elephant Man nel 1980 e continuato dieci anni dopo con Wild at Heart, a conferma del fatto che la sperimentazione di forme linguistiche nuove e strettamente personali (o lynchane, come si suol dire) si accompagna spesso al bisogno di tornare a una narrazione classica, fedele ai canoni tradizionali del montaggio “invisibile”. Se la struttura narrativa del precedente Lost Highways ricorda la forma paradossale del nastro di Mobius, come hanno notato sfilze di critici, semiologi e tuttologi, qui la linearità della storia è chiara e definita fin da subito, come peraltro suggerito dal titolo: parte da un paesino dell’Iowa e arriva a Mont Zion, nel Wisconsin.

Per dare una misura della bellezza della storia è sufficiente ricordare ciò che succede all’inizio del film: Alvin Straight, un vecchietto a cui è stato da poco diagnosticato un male difficilmente curabile, riceve una telefonata dal fratello Lyle che non vede da moltissimi anni causa un banale litigio irrisolto. Lyle porta brutte notizie, ormai non gli rimane molto da vivere. Alvin vorrebbe vederlo un’ultima volta, ma è privo sia di patente che di automobile e il fratello vive a centinaia di chilometri di distanza, e di farsi accompagnare da qualcuno non ne vuole proprio sapere. Preso da un momento di sconforto getta un occhio fuori dalla finestra che da’ sul giardino, dove ad attendere il suo sguardo c’è un bellissimo trattorino tosaerba mezzo scassato. Ebbene sì, userà proprio questo rottame come mezzo di locomozione per raggiungere Lyle nel Wisconsin, affrontando un viaggio alla velocità massima di 5 miglia orarie.

Particolare da non trascurare, The Straight Story racconta un fatto realmente accaduto in America nel 1994 al settantatreenne Alvin Straight. L’interpretazione di Richard Farnsworth, qui alla sua ultima apparizione cinematografica, rimarrà nei secoli tra le più memorabili e disarmanti che il cinema ricordi.

Lo trovate al numero 517 della videoteca.

Marco

giovedì 17 febbraio 2011

Frammenti da "Ad occhi chiusi"

Cuore dell'Alba, la stella del mattino, era un grande cacciatore, il più grande. Un giorno volle prender moglie e scelse la Lince. La Iena, invidiosa, decise di prendere il suo posto. Le offrì del cibo, contraffatto con un maleficio. Lince lo accettò, e cadde sotto l'incantesimo; perse ogni ornamento... bellezza, coraggio, spirito... sconvolta, corse a nascondersi. Iena, trionfante, si travestì, andò alla sua capanna e prese il suo posto...




...tuttavia, la sorella di Lince si accorse dell'inganno e corse ad avvertire Cuore dell'Alba. Il cacciatore, furioso, piombò su Iena con la lancia. La mancò. Iena fuggì e nel panico si bruciò i piedi nel focolare. Così ancora oggi all'alba la iena scivola nella propria tana, con quella sua strana andatura... e i San, quando una persona, quando lo spirito di una persona si sta perdendo dicono "il tempo della iena è su di lei".

Dedalo Teatro

venerdì 11 febbraio 2011

Film della settimana: Il nastro bianco



Di Michael Haneke

Con Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Burghart Klaußner

“Come uomo di cultura tedesco, penso che il 1913/1914 sia un periodo molto affascinante. Ma Il nastro bianco non è “solo” un film storico, il fanatismo a cui si riferisce non è “solo” quello nazista tra il 1933 e il 1945. Ovviamente se racconto di ragazzini che in quel periodo hanno tra i 10 e i 15 anni li ritroverò uomini e donne sotto Hitler: ma nello stesso tempo il senso della mia storia si riferisce a ogni forma di fanatismo anche successivo, anche contemporaneo, da quelli di stampo comunista a quello islamico…

Se il fanatismo consiste nel dare delle risposte immediate che annullano il ragionamento, allora oggi viviamo in un momento storico in cui il dominio della televisione ci impone questo tipo di pensiero e di comportamento. Se il cinema vuole continuare ad essere una forma d’arte deve andare contro questo fanatismo televisivo, contro il meccanismo delle risposte istantanee e trattare il pubblico più seriamente. Questo è quello che molti, vedendo Il nastro bianco, hanno etichettato come rigore.

[…] Il nastro bianco del titolo è il “premio” che significa appartenenza al gruppo, alla comunità, al mondo degli adulti, all’istituzione. Solo in questa logica l’individuo trova la sua giusta collocazione. Avevo pensato però anche a un altro titolo, La mano destra di Dio, perché i piccoli protagonisti, una volta che li hanno assorbiti come assoluti, applicano gli ideali alla lettera, al 100%, punendo allo stesso modo chi invece non li condivide o non li ha fatti propri in modo così totale. Ecco perché non considero Il nastro bianco un film storico sulla Germania che inevitabilmente andava verso il nazismo hitleriano: è un’opera contro qualsiasi uso corrotto di idee corrotte.” (Intervista a Michael Haneke a cura di Alessandra Matella, tratta dal numero 57 della rivista duellanti)

Il nastro bianco vi porta a spasso nella Germania di inizio secolo.

E’ il film che vi consigliamo questa settimana.

E’ il numero 574 della Videoteca di Dedalo.

Marco

Laboratorio di messa in scena



"... questo stesso vasto globo, sì,
e quello che contiene, si dissolverà,
come la scena priva di sostanza ora svanita,
senza lasciare traccia. Noi siamo della materia
di cui son fatti i sogni e la nostra piccola vita
è circondata da un sonno".

W. Shakespeare


"Il giorno che moriremo una lieve brezza cancellerà
le nostre impronte dalla sabbia.
Quando calerà il vento chi dirà nell'eternità
che una volta camminammo qui, all'alba del tempo?"

da un canto dei Boscimani del Kalahari


"ALLESTIRE" è un laboratorio sul processo di messa in scena di uno spettacolo.
Un laboratorio di livello avanzato per attori, rivolto a chi abbia concluso un percorso di formazione almeno triennale.
Un laboratorio che si terrà a Dedalo, a partire da Febbraio 2011.

ANNOTAZIONI SUL LABORATORIO


Allestire è, nella sua origine, una parola usata dai marinai.
Allestire una nave: disporre il carico, bilanciarlo. Mettere a punto prima di partire.
Allestire uno spettacolo è preparare una nave per un viaggio.
La mia esperienza mi ha portata a pensare (e praticare) il lavoro di messinscena come un processo, un intenso percorso di ricerca condiviso tra persone.
So che se si lavora seriamente, il viaggio che porta ad uno spettacolo "finito" può essere molto lungo; forse è per questo che spesso i "laboratori di produzione" portano a raccogliere ottimi materiali di scena che, "per mancanza di tempo", restano grezzi, con un ampio margine di approssimazione.

Questo laboratorio si focalizzerà proprio su quella parte di lavoro che spesso, soprattutto in ambito formativo, si sfiora appena.
Nel lungo processo di creazione, "allestire" è il momento in cui la storia deve trovare la sua forma. È il momento in cui si articola il linguaggio di uno spettacolo, ove ogni aspetto (struttura drammaturgica, scelte inerenti lo spazio, l'ambiente sonoro, gli oggetti, la recitazione, etc) confluisce in un insieme espressivo coerente. È il processo di lavoro attraverso cui si fissano - forse per sempre - le "regole generatrici" di quel mondo vivente che è una storia raccontata sulla scena.
Tutto ciò sarà il cuore pulsante del laboratorio.

Sarà un laboratorio di formazione: un viaggio di ricerca, innanzitutto, ove sia possibile incontrare occasioni per imparare, chiarire o ispirare il proprio lavoro.
Oltre e insieme a questo, il percorso approderà alla realizzazione di uno spettacolo teatrale.

Perché tutto questo sia possibile all'interno di un tempo ragionevole, il laboratorio disporrà di una base di materiali di lavoro da me proposti "a priori": un plot narrativo di base, spunti relativi a possibili scelte di linguaggio, riferimenti e "fonti" a cui rivolgersi nella ricerca. Avremo in pratica un terreno già preparato e fertile, evitando lunghe fasi divergenti. Come in un gioco, ci sarà un contesto, delle regole, vincoli che consentiranno grande libertà di movimento. E molte domande.

I materiali di cui si disporrà derivano dall'esperienza maturata la scorsa stagione insieme a un gruppo di studenti di Dedalo, con la preparazione del saggio "Ad occhi chiusi". Malgrado l'incompiutezza del lavoro, tipica di uno studio, la materia ancora grezza si è rivelata talmente ricca di spunti da convincermi (insieme - va detto - alle richieste di alcuni studenti tenaci) a farne la base per il laboratorio.

Rispetto ai contenuti, solo due coordinate.
Chiunque sia interessato avrà modo di parlare a lungo con me dello spirito del lavoro.
"Ad occhi chiusi" è l'esito di un'esercitazione su "la Tempesta" di Shakespeare, in cui gli allievi hanno avuto infinita libertà di movimento, la possibilità di allontanarsi totalmente da una interpretazione letterale. E così è stato, alla fine. Niente isole, niente sovrani, niente magia.
La troupe di un film, persa nel cuore più inaccessibile del deserto del Kalahari.
Acqua e viveri per pochi giorni.
Intorno, un ambiente selvaggio, vivo di una vita inconoscibile.
Il deserto è uno specchio in cui guardarsi. Non sempre quello che si vede è rassicurante.
Kalahari, ossia "kgalagadi", la grande sete...
La Tempesta è lontana, eppure non posso fare a meno di pensare ai naufraghi che vagano sull'isola di Prospero come a degli Antenati.
Così sarà anche per il laboratorio.
Non sarà un lavoro sulla Tempesta. La Tempesta sarà una delle sue fonti sotterranee.
Il deserto sarà il mondo, sarà il personaggio principale della storia. Sarà la storia.

Laura Butti

venerdì 4 febbraio 2011

Film della settimana: Elephant

Di Gus Van Sant

Con John Robinson, Alex Frost, Elias McConnell, Eric Deulen


Un’antica leggenda indiana racconta la storia di un elefante circondato da quattro persone sedutegli attorno con gli occhi bendati, tenute all’oscuro che dinanzi a loro ci sia un animale così grande. La prima persona allunga la mano in direzione dell’elefante e dice: “Questa è una zampa!” La persona che le sta a fianco compie lo stesso gesto ed esclama: “Questa è una coda!” La terza persona incalza sicura: “Sono certo, questa è un’orecchia!” E l’ultima: “Questa per me è una proboscide!”

Le quattro persone messe alla prova riconoscono la parte dell’animale che hanno toccato con le proprie mani, tuttavia nessuna di loro riesce a vedere l’elefante. Ne hanno riconosciuta una parte, ma il tutto è loro sfuggito, l’insieme che include tutte le singole parti.

Come ha suggerito Gus van Sant in un’intervista di qualche anno fa, noi spesso ci rapportiamo alla complessità del reale in cui siamo immersi in questi termini.

Nel caso di Elephant, appare evidente come a volte i genitori si relazionino così alle vite dei loro figli. Credono forse di conoscerle fino in fondo, in realtà non ne conoscono che una piccola parte. E questo non è sufficiente. Poi rimangono increduli quando i figli entrano in una scuola e compiono un massacro ai loro occhi senza motivo alcuno, come successe alla Columbine High School il 20 aprile del 1999.

Elepahnt è il film che noi vi consigliamo questa settimana.

Se non lo avete ancora visto, o se avete voglia di rivederlo e non avete tempo di scaricarlo, lo trovate al numero 360 della videoteca di Dedalo.

Marco